martedì 7 ottobre 2008

La Z di Zingaretti e quella di Zoro.


di Simone Conte

foto di Daniele Moreschini

Pochi giorni fa parlavo con un amico, ci dicevamo: “Ma quand’è che Veltroni è diventato così? Ti ricordi quando ci piaceva, quando nonostante tutto un po’ ci speravamo?” Non riuscivamo a ricordare il momento preciso nel quale avevamo realizzato che il buono che c’era in lui era stato inglobato dalla sua stessa creatura, quand’è che era diventato a tutti gli effetti una protesi del corpo-partito. Fino a ieri pensavo che Nicola Zingaretti fosse il meno peggio, il migliore tra i dirigenti del Partito Democratico, uno che poteva rappresentare se non una svolta, perlomeno un cambiamento a livello dirigenziale. Ecco, con lui quella domanda che mi ponevo su Veltroni una risposta ce l’avrà. Il giorno in cui ho capito che Zingaretti non è quello che speravo è stato ieri, quando in un incontro promosso dalla neonata associazione Democraticamente, Diego Bianchi (in arte Zoro) ha intervistato pubblicamente il Presidente della Provincia di Roma. Tema: Riprendiamoci il Futuro: Costruiamo il Pd, un partito utile all’Italia.


L’incontro è in programma alle 18, ma dopo mezzora di attesa di Zingaretti ancora neanche l’ombra, nell’attesa scambio due chiacchiere con Diego, e per sondare le sue intenzioni butto lì un:“Già i politici si fanno aspettare, poi lui ormai è una star, si fa pure intervistare da Vanity Fair”. Il ghigno di risposta di Zoro mi rassicura sul fatto che perlomeno ci divertiremo.



Poi Zingaretti arriva, e l’intervista prende il via. Diego Bianchi chiarisce subito il clima informale dicendo che “Nicola è arrivato in ritardo perché ha trovato traffico a Roma, finchè stava fuori scorreva benissimo, in Provincia il problema del traffico non c’è, diciamole ste cose”. Finita la premessa, con la scusa che un leader cura anche l’immagine, ecco che salta fuori una copia di Vanity Fair, con foto a tutta pagina di uno Zingaretti estremamente glamour. Zoro lo stuzzica sulla parentela e butta lì un “Sembra scattata tra le stradine di Vigata”.


Il fratello di Montalbano non raccoglie, non si imbarazza più di tanto per il servizio, e comincia da subito il leit motiv che riproporrà per un ora: non risponde. Bianchi gli chiede del problema di un Partito Democratico scisso in, pare, 18 correnti, volendone togliere qualcuna inventata dalla stampa diciamo una dozzina,e il Presidente risponde: “Sarebbe una follia”. Zoro gli fa notare che non si sta parlando di un’ipotesi, ma di un dato di fatto, che bisogna dire “è una follia”, ma Zingaretti non raccoglie, e si limita a dichiarare: “ Io non mi iscriverò mai ad una corrente. Il paese ci chiede altro” Qualcuno dal fondo della sala dice a mezza bocca “Eh, ma rispondeteje ar paese”. L’intervista prosegue, Zoro prova a stuzzicarlo sulle dinamiche interne del partito, sulla leadership di Veltroni che “Da quando è stato a New York non se regge più, ogni giorno litiga con qualcuno, s’è svegliato tutto insieme”. E qui Zingaretti risponde. Male. Sostiene che la carica di Veltroni sia importante in vista della manifestazione del 25 ottobre, che i contenuti si saranno importanti, che si va bene bisogna fare le proposte, ma bisogna soprattutto tirare fuori i denti. Insomma prima la forma poi il contenuto.
Poi le domande vertono sui giovani, sul ricambio generazionale, ma ormai è chiaro che Zingaretti è venuto soprattutto per fare un megaspot alla manifestazione, la infila dappertutto, ne sottolinea la portata, a suo dire, “storica”. Gli applausi alle risposte del segretario del Pd Lazio sono sempre più fiochi, sino all’ultima domanda, dopo la quale semplicemente non arrivano. Ogni volta che Bianchi apre bocca la gente ride di gusto, e in quelle risate c’è una sottile vena di disperazione. Se un osservatore neutro dovesse decidere giudicando dalle reazioni dei presenti chi tra i due è il leader di queste persone, dedurrebbe che Zingaretti sia il moderatore.



Poi le domande della base, e qui Zingaretti fa un mezzo disastro. Intanto nella forma. Dopo aver passato quaranta minuti a sottolineare l’importanza di essere un partito vicino alla gente, mentre il pubblico fa le domande lui fa cenni per chiamare i suoi assistenti, ci parla, guarda il cellulare, prova un paio di volte a parlare sottovoce con Zoro, poi ritorna l’assistente, parlano di nuovo. Il copione perfetto del politico che se ne fotte: pessimo. Poi i contenuti, molto discutibili, specialmente quando una signora fa notare la schizofrenia del meccanismo del tesseramento. “ Se viene uno al circolo e mi dice che si vuole tesserare io gli devo rispondere che le tessere si fanno il lunedì, il mercoledì e il venerdì e solo nel circolo più vicino a casa sua, ma così la gente ce la perdiamo”. Zingaretti non è d’accordo, e risponde che questo meccanismo serve per evitare che qualcuno arrivi con cinquantamila euro e compri un pacchetto di tessere per diventare padrone della sezione. Però dice anche che non è successo, e che niente lascia credere che possa succedere. Allora di cosa stiamo parlando? Se questa è l’idea di “partito vicino alla gente”, la manifestazione del 25 ottobre rischia davvero di essere “storica”, ma non nel senso che auspica il Presidente della Provincia.



Dopo un'ora di intervista Zingaretti va via, e lascia diverse perplessità ad aleggiare nella saletta strapiena (circa centocinquanta partecipanti). Sembra diverso dall’uomo della campagna elettorale. Sembra uguale a tutti gli altri. Non lo dice nessuno, lo pensano tutti. Di buono rimane la partecipazione popolare, l’ottimo avvio di Democraticamente, associazione di persone di sinistra che hanno deciso di rimboccarsi le maniche e non farsi travolgere dalla depressione, che non a caso per affacciarsi sul mondo ha scelto di invitare Diego Bianchi. In questo momento il videoblogger rappresenta e dà voce meglio di altri a questo “malcontento costruttivo”, che è poi il nocciolo di quella Fondazione Daje, oggetto e soggetto volutamente misterioso (e per questo pericoloso agli occhi di chi non vede l’ora di mettere etichette) che si propone come un aggregatore di delusi e disillusi ma non rassegnati di sinistra, che con uno spirito lontano anni luce dalla ridicola serietà di partito vogliono cercare di rinfrescare le idee al PD sul fatto che sia un partito di sinistra.

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