mercoledì 30 luglio 2008

Quando l’Europa si innamora: Obama in terra straniera


di Valeria Mencarelli


Ancora non è il presidente del paese più potente del mondo, ma la sua visita in Europa e in Medio Oriente ha trovato comunque uno spazio sulle prime pagine di tutti i giornali. Dal 19 luglio, giorno della visita in Afghanistan, al momento in cui il suo aereo griffato “Yes, we can” ha lasciato l’aeroporto di Heathrow per far ritorno nella sua Chicago, Barack Obama ha portato con sé dall’America gli ingredienti che hanno fatto di lui l’erede designato di Bob Kennedy. E non è che abbia detto nulla di nuovo, ha confermato tutte le posizioni già dichiarate in materia di politica estera. Sarà la mancanza nel nostro continente di veri leader che non siano troppo occupati a pubblicizzare matrimoni lampo o promulgare leggi per difesa personale o salvare il salvabile di un mandato che non era stato neanche in partenza affidato a loro, ma gli europei si sono comportati come fanno i bambini davanti alla favola di Cenerentola.

Le tappe della visita

Il candidato democratico ha fatto tappa prima in Medio Oriente, visitando Afghanistan, Iraq (dove ha confermato al premier al Maliki il ritiro delle truppe entro il 2010), Giordania e Gerusalemme, per la quale auspica lo status di capitale dello stato di Israele. È stata poi la volta di Parigi, per una visita, più amichevole che ufficiale, al presidente francese Sarkozy, per approdare infine in Gran Bretagna, dove il primo incontro non è stato riservato all’attuale premier laburista Gordon Brown, alle prese con l’ennesima sconfitta elettorale del suo partito nella roccaforte di Glasgow, ma all’ex Tony Blair e al brillante leader dell’opposizione conservatrice Cameron. Non solo. Dei tre incontri in terra britannica, quello di cui si è più discusso è quello con David Cameron a causa di alcune intercettazioni delle confidenze che i due si sono fatti e che in realtà non rivelavano assolutamente nulla.

Un bagno di folla a Berlino

Obama torna quindi ora negli Stati Uniti, dove il rivale McCain lo attende al varco. Lo scopo di questo tour, in fondo, era quello di dimostrare che le accuse a lui rivolte dal conservatore sulla sua presunta mancanza di esperienza e ingenuità nelle questioni internazionali erano infondate. Chissà se l’obiettivo è stato raggiunto in terra natia. A guardare i sondaggi sembrerebbe di si. Di certo, è stato raggiunto in terra straniera, ed il discorso che il senatore dell’Illinois ha tenuto a Berlino ne è la prova. Di fronte ad una folla di centomila tedeschi riuniti davanti alla Colonna della Vittoria, Obama ha parlato non solo da candidato americano, ma da cittadino del mondo, auspicando una vera solidarietà atlantica tra America ed Europa come non se ne parlava da tempo, almeno da quando ci fu la prima frattura tra i due continenti, con il rifiuto da parte dell’amministrazione Bush alla ratifica del Protocollo di Tokyo. “L'America non può isolarsi, l'Europa neanche. E' arrivato il momento di costruire nuovi ponti, di abbattere i muri che dividono popoli e razze” ha affermato Obama, che poi ha aggiunto: “Persone del mondo guardate Berlino, dove il Muro è caduto e dove la storia ha provato che non c'è una sfida che non si può combattere per il mondo unito”. Molti obiettano che sia troppo facile parlare quando ancora non si ha la responsabilità del mondo sulle spalle. Ma certo ci vuole determinazione per andare in una terra straniera ad ammettere gli errori del proprio paese e farci comunque sperare che sia lui il nuovo inquilino della Casa Bianca.

Nessun commento: