venerdì 18 luglio 2008

Obama e la strategia per l'Iraq


di Valeria Mencarelli

Mentre il presidente uscente Bush cerca di districarsi tra le insinuazioni della stampa scandalistica sulla fine del suo matrimonio con la first lady e le accuse di nuovi sexygate per una sua presunta relazione con il Segretario di Stato Condoleeza Rice, i due candidati alle elezioni del 4 novembre hanno già da tempo iniziato a darsi battaglia sui diversi temi della campagna elettorale. Nelle ultime settimane quello ricorrente è anche quello più scottante dell’attuale amministrazione repubblicana: la guerra in Iraq. E se sia Obama che McCain concordano sul fatto che la strategia messa in atto dalla coppia Bush-Cheney sia stata una sorta di suicidio nazionale (e internazionale), i piani che i due aspiranti alla Casa Bianca propongono per porvi rimedio sono prevedibilmente di segno opposto.


Le strategie dei due candidati

Obama, che negli ultimi giorni ha dovuto difendersi da chi lo accusava incessantemente di aver teso un po’ troppo la mano verso l’elettorato repubblicano, non ha usato mezzi termini per chiarire le sue opinioni. Attraverso un editoriale pubblicato sul New York Times lo scorso lunedì ed un discorso di 38 minuti che ha tenuto il giorno successivo a Washington, ha ribadito la sua opposizione alla guerra iniziata ormai sette anni fa, ed ha dichiarato il ritiro entro l’estate del 2010 delle truppe in Iraq, un paese “che non rappresentava una minaccia imminente e non aveva nulla a che fare con gli attacchi dell’11 settembre”. L’accusa che il senatore afroamericano rivolge ai repubblicani è quella di promuovere non una strategia per la fine della guerra, bensì per rimanere nel paese nonostante il volere contrario degli iracheni. Ritiro delle truppe, quindi, ma anche invio di altri 10 mila militari in Afghanistan, che si sta rivelando il vero fronte della guerra al terrorismo. E per chi lo accusa di parlare senza aver mai realmente messo piede in Medio Oriente, Obama ha in programma nella prossima settimana un viaggio nel vecchio continente dove parlerà con i generali dell’esercito ed incontrerà i capi di stato alleati. McCain si è già detto convinto che, al suo ritorno, il suo avversario politico avrà cambiato idea sul ritiro e sarà pronto a considerare la sua strategia militare di incremento delle truppe.

Un nuovo Piano Marshall

I piani del candidato democratico non finiscono qui. In materia di politica estera va oltre il conflitto in Medio Oriente e afferma che “da presidente, perseguirò una strategia di sicurezza nazionale dura, intelligente ed onesta, che riconosca che abbiamo interessi non solo a Baghdad”. Quello che il quotidiano inglese The Guardian ha ambiziosamente definito come un nuovo Piano Marshall prevede cinque punti fondamentali per rendere l’America un paese più sicuro: porre fine alla guerra in Iraq in modo responsabile; porre fine alla lotta ad Al Qaeda e ai talebani; allontanare tutte le armi nucleari da paesi terroristi; ottenere una vera sicurezza energetica; ricostruire un sistema di alleanze per affrontare le sfide del ventunesimo secolo. “È arrivato il momento per l’America e l’Europa di rinnovare il loro impegno comune” ha affermato Obama. Ma lo strappo tra Stati Uniti e paesi come Francia e Germania che l’amministrazione Bush lascerà in eredità al futuro presidente, qualunque partito la spunterà, non sarà certo cosa semplice da ricostruire.

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