venerdì 11 luglio 2008

Eluana Englaro è libera, e i prossimi?

di Costantino Valletta

Con il caso di Eluana Englaro, si torna al problema della distinzione tra cura e accanimento terapeutico: individuarne il confine è molto arduo. Per accanimento terapeutico s’intende “un trattamento medico non indicato oppure non proporzionato, oppure non suscettibile di dare un beneficio, o di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di una particolare gravosità per il paziente”.
Quello di Eluana ha tutti i tratti di un caso estremo di accanimento, che è riuscito a trasformarsi in delirio. Ci si è accaniti su un corpo ormai privo di vita, perché Eluana se ne è andata da tempo, di lei è rimasto solo un corpo inerte in balia delle macchine e di decisioni altrui..
I suoi occhi erano aperti ma non vedevano, ha subìto una violenza lunga 16 anni , perché il tutto è avvenuto contro la sua volontà, che aveva chiaramente espresso: non avrebbe mai voluto un’esistenza allo stato vegetativo. Vivere non significa respirare ed essere nutriti artificialmente, non vuol dire rientrare nei parametri medici: vivere è ben altro.

La reazione del Vaticano non si è fatta attendere: secondo monsignor Rino Fisichella, neo presidente dell'Accademia pontificia per la vita, si tratta di eutanasia, ma questa è una definizione non solo supericialem ma inesatta. Come è successo per Welby, si tratta dell’interruzione di un trattamento sanitario non rispettoso della volontà del paziente. La costituzione italiana afferma che nessun trattamento sanitario è obbligatorio e la decisione dei giudici non ha fatto altro che applicare questo principio.
L’opposizione della Chiesa diventa incomprensibile se si prendono in considerazione le parole scritte nel catechismo della Chiesa cattolica dall'allora cardinal Ratzinger: "L'interruzione di procedure mediche dolorose, pericolose, straordinarie, o sproporzionate rispetto ai risultati ottenuti può essere legittima”, e questo rispecchia perfettamente la condizione di Eluana.


Porre fine ad una situazione del tutto artificiale Non ha nulla di immorale, immorale è costringere un padre a vagare per tribunali, a lottare fino allo sfinimento per veder realizzata la volontà della figlia. L’evoluzione della tecnica porterà ad un aumento del numero di casi come questo , in cui i mezzi meccanici possono prorogare la vita oltre qualsiasi limite naturale, al di là della dignità umana. Si pone la necessità di riaprire il dibattito sul testamento biologico.

Mi sembra doveroso da parte di uno stato che voglia definirsi civile garantire ai propri cittadini il diritto di poter dichiarare ,in condizioni di lucidità mentale, quali trattamenti medici intende accettare o no nell’eventualità di trovarsi nell’impossibilità di poter esprimere la propria volontà . Il consenso informato deve essere garantito a tutti in qualsiasi condizione. Solo il paziente può stabilire il confine tra cura e accanimento terapeutico.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il tuo articolo, chiarisce perfettamente la situazione sia dal punto di vista legislativo che etico. Per la verità, c'è stato un periodo in cui io sostenevo la vita fino alla fine, pur essendoci condizioni poco dignitose per il paziente che, nella maggior parte dei casi sopravvive in condizioni senza dubbio poco umane. Ma, con il passare del empo e, attraverso una analisi attenta dei casi, sono arrivata alla conclusione che la scelta di staccare la spina o, come nel caso diEluana, mettere fine ad uno stato vegetativo, sia una scelta dignitosa. Ho pensato me in quello stato e mi sono detta: "quella non è vita". Io credo che la chiesa dal canto suo, debba fare "l'avvocato del diavolo", perchè difende e promuove la vita. Anche se, purtroppo, sono mille le contraddizioni in cui cade.Complimenti, Costantino!
Biancarosa

costantino ha detto...

ti ringrazio dei complimenti!