giovedì 15 gennaio 2009

Congo: il massacro silenzioso. Una terra condannata alla guerra dalla propria ricchezza.


di Laura Liucci
Ci sono guerre che non godono della luce dei riflettori, delle attenzioni della comunità internazionale, dei corsivi indignati dei columnist, dei soundbite imbalsamati dei politici nei telegiornali, delle bande in sovrimpressione della Cnn. Quella che vogliamo raccontarvi è una di queste. E’ una carneficina che da anni intorpidisce le acque dei Grandi Laghi. Sono diamanti insanguinati in cambio di armi, donne da violentare e bambini ad imbracciare fucili. E’ l’ennesimo massacro di civili inermi. E’ l’Africa in guerra. E’ il Congo dalle immense ricchezze minerarie e dai pochi, pochissimi, amici occidentali. Chi trova ancora il coraggio di entrarvi per documentare la situazione nella regione del Kivu parla di questo: esecuzioni sommarie, profughi in fuga, bambini soldato nascosti solo alle telecamere dell’occidente.

La situazione attuale
Scenario di continue incursioni di ugandesi e ruandesi durante la guerra congolese (1998-2003), la regione del Kivu è una delle zone minerarie più ricche del mondo, e ciò l’ha resa da sempre principale obbiettivo del vicino Ruanda, tanto politicamente forte, quanto povero di risorse. Quando ad agosto il leader dei ribelli tutsi Laurent Nkunda, alla guida del CNDP (Congresso nazionale per la Difesa del Popolo), ha iniziato la sua avanzata volta ad acquisire il controllo della provincia orientale, si è parlato di una campagna condotta alla ricerca degli Hutu confluiti in massa in Congo nel 1994 dal Ruanda post- genocidiario. Ma sono le immense riserve di coltan, di diamanti e di rame ciò a cui Nkunda mira, e a cui mira il Ruanda finanziando il CNDP - composto in gran parte da ex militari dell’esercito regolare di Kigali - nella speranza di un futuro Kivu indipendente dal governo centrale di Kinshasa.

A rispondere agli attacchi del CNDP c’è l’esercito regolare congolese, ormai affamato e in rotta, appoggiato dalle milizie di ribelli filogovernativi Mai- mai, e dal Monuc, la missione delle Nazioni Unite di stanza in Congo. Con 17.000 unità, è il più imponente stanziamento di caschi blu al mondo. Inutile. Il Monuc fa quello che può per quanto riguarda il passaggio di aiuti umanitari e servizi alla popolazione (e a volte neanche quello, come nel caso del massacro di Kiwanja che ha visto i soldati del Monuc, trincerati nella loro base, negare rifugio a civili in fuga dalle milizie di Nkunda). Ma il mandato concessogli dall’Onu non permette di ingaggiare combattimenti con i ribelli. Sono lì, hanno le armi, ma non possono usarle. Tra vari cessate il fuoco, rispettati e non, e dopo la fallimentare conferenza di Nairobi, gli scontri continuano e l’obbiettivo di Nkunda è ormai a portata di mano.

I precedenti
La recente crisi congolese è solo l’ultimo capitolo di una guerra che dura da oltre 25 anni e che ha visto coinvolti due generazioni di uomini e donne di Ruanda, Congo e Uganda. L’inizio può essere individuato nella presa del potere di Museveni nei primi anni ‘80 in Uganda (le stime parlando di 300.000 vittime), per passare poi agli 800.000 morti, tra Tutsi e Hutu moderati, dei 100 giorni del Ruanda genocidiario del 1994. E’ ormai noto che dietro l’omicidio dell’allora presidente Juvénal Habyarimana, abbattuto con il suo aereo mentre sorvolava Kigali - e pretestuosamente orchestrato al fine di far ricadere la colpa sui Tutsi – ci fossero esponenti in vista del governo, Paul Kagame –succeduto alla presidenza - su tutti. E oggi è grazie all’ immunità presidenziale che l’Interpol non ha potuto emettere un mandato contro di lui, come invece ha fatto con 6 dei suoi maggiori luogotenenti.
I partner occidentali
In Africa vige da sempre il meccanismo delle partnership - dei patrocini e degli aiuti che le grandi del mondo destinano alle nazioni africane in cambio di corsie preferenziali nell’acquisto di materie prime e, in tale contesto, l’Uganda e il Ruanda sono notoriamente legate a Gran Bretagna e Stati Uniti. Durante le guerre che hanno visto il Congo martoriato dalle incursioni ruandesi e ugandesi negli ultimi 25 anni, costate la vita a circa 5 milioni di persone, gli eserciti sono stati finanziati, e in alcuni casi addestrati, da USA e Gran Bretagna. E mentre Francia e Spagna tentavano di far processare Kagame dal Tribunale Internazionale per il Ruanda, gli USA “consigliavano caldamente” al magistrato incaricato di sospendere le indagini sul presidente ruandese, pena il sollevamento dall’incarico. E presupponendo che le due potenze occidentali non facciano beneficienza, ma che beneficino direttamente dei bottini congolesi, si possono leggere in chiave diversa anche le vicende degli ultimi mesi. Le mani legate con cui il Monuc sta agendo in Congo, ad esempio. Le Nazioni Unite hanno dichiarato ufficialmente di non aver accordato maggiore libertà di movimento ai caschi blu per non rischiare di restare invischiati i questioni interne - ai posteri la sentenza di come l’ONU possa osare utilizzare una tale motivazione di fronte a un massacro lungo 25 anni. Ma forse, pensando che Usa e Gran Bretagna, in sede di Consiglio di Sicurezza, godono del diritto di veto, la vicenda può essere letta da un’altra angolazione. La stessa per cui nel 1994 i caschi blu sono rimasti a guardare in silenzio il massacro di 800.000 ruandesi, uccisi – casa per casa - a colpi di macete.




La reticenza dei media
La “questione etnica”, che qualcuno continua immotivatamente a mettere in primo piano, dovrebbe oramai aver lasciato il posto alla consapevolezza degli enormi interessi economici che muovo la vicenda. Non per il giornalismo mainstrean, ad ogni modo. Sarebbe stato a dir poco ingenuo sperare di vedere l’apertura di un Tg apostrofare Paul Kagame - sorridente e distinto in visita alla Casa Bianca nel 2006 - come “il presidente ruandese, criminale di guerra e principale responsabile del genocidio del ‘94”. Oggi la televisione e i media continuano a parlare della guerra che Nkunda starebbe portando avanti per scovare gli Hutu genocidiari. Dopo 14 anni, al massimo potrebbe combattere contro i loro figli. Come in passato, come nell’Africa coloniale – ma possiamo davvero parlare oggi di un post- colonialismo? - si scontrano qui poteri e interessi occidentali. Sulle spalle di chi ha perso la voce per gridare.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Io mi sono documentato leggendo un paio di libri sul genocidio in Rwanda scoppiato nell' Aprile del '94 e sembra che non e' come voi scrivete in questo articolo. Paul Kagame era il comandante del FLP e partendo dall' Uganda e' entrato in Rwanda riuscendo a fermare il genocidio dei Tutsi da parte dell' esercito Hutu e i miliziani dell' Interhamwe. Kagame, seppur responsabile di omicidi nei confronti degli Hutu, non e' il responsabile del genocidio dei Tutsi. Al contrario il colonello Bogosora e' considerato l' ingegnere del genocidio e quindi a far saltare in aria l' aereo del presidente furono gli estremisti capeggiati dal colonello Bogosora e da altri nomi che ora non ricordo, ai vertici del potere Hutu. Se sbaglio qualcosa vi prego di correggermi ma fornendomi file o testi dove posso andare a documentermi meglio.
Grazie,
Mauro

Anonimo ha detto...

Scusate, sono ancora Mauro, autore del commento antecedente, volevo solo correggere una mia inesattezza nel commento precedente: Paul Kagame e' il fondatore del fronte patriottico ruandese (FPR) e non del FLP come avevo scritto, comunque e' stato solo questo l' errore!
Mauro