giovedì 20 novembre 2008

Le banche italiane e il caso Zaleski: storia di un impero fondato sul nulla


di Laura Liucci

E’ possibile essere debitore verso una banca e allo stesso tempo possederne una parte? Nel mondo della moderna finanza creativa, la risposta è: si, per quanto difficile da immaginare. E se questo paradosso venisse ripetuto ancora ed ancora con più banche e più debiti? La risposta in questo caso sarebbe ancora si, ed avrebbe un nome: Romain Zaleski, il finanziere franco- polacco salito alla ribalta del palcoscenico della finanza italiana per essere al centro di un enorme buco nero di debiti in seguito al crollo del mercato azionario.

Chi è Romain Zaleski?

Wikipedia parla di un ex funzionario pubblico passato alla finanza che ha fatto fortuna speculando in borsa. Secondo Forbes, nel 2007 è il 488° uomo più ricco del pianeta, con un patrimonio personale di 2 mld di dollari. Ad oggi Zaleski è il finanziere, italiano d’adozione, che ha gettato nel panico il circuito delle maggiori banche italiane e che sta per essere salvato da UniCredit, Intesa Sanpaolo, Ubi Banca, Banca Popolare di Milano e Monte dei Paschi di Siena, banche a cui DEVE circa 4.5 mld. La domanda a questo punto è d’obbligo: perché 5 delle maggiori banche italiane, in un momento di crisi come questo, dovrebbero scomodarsi a sborsare dei soldi per uno speculatore in caduta libera che per di più è anche in debito con loro per una cifra enorme? Semplice: Zaleski non è un qualunque speculatore né tantomeno un qualunque debitore.
Un circolo vizioso

La scalata di Zaleski è stata possibile grazie ad un meccanismo paradossale per cui, poniamo, Intesa Sanpaolo concedeva un prestito finalizzato all’acquisto di azioni di Banca Popolare di Milano, e in seguito, con un ulteriore prestito della Bpm, Zaleski comprava una partecipazione a Intesa. E così ancora e ancora. In parole povere, le azioni di una banca venivano date come pegno per ricevere ulteriori prestiti da altre banche in una sorta di circolo vizioso in cui Zaleski era allo stesso tempo debitore ma anche azionista di una stessa banca (e si parla di quote talmente importanti da avere voce in capito in ambito di consiglio d’amministrazione).

Nel giro di 10 anni il pacchetto azionario del finanziere franco- polacco è cresciuto a dismisura, arrivando a comprendere, solo per fare qualche esempio, il 10% di Edison, il 5% di Intesa, il 2,3% di Generali, il 2,3% di Ubi Banca, il 2% di Mediobanca, il 2% di Bpm e l’1% di Telecom. All’inizio del 2008 i suoi titoli valevano circa 10 miliardi a fronte di un debito di 5 mld. La scommessa di Zaleski, e delle banche che avevano allegramente supportato le sue speculazioni, sembrava stravinta. Con il crollo del mercato azionario e la crisi economica mondiale però le partecipazioni di Zaleski hanno perso progressivamente valore fino a circa 5 mld, a fronte di un debito, sensibilmente cresciuto, di circa 6 mld.
La resa dei conti

A questo punto la perdita di valore delle azioni date in garanzia dei prestiti, unita all’evidente impossibilità che Zaleski riuscisse a rimettersi in corsa, ha fatto sì che le banche straniere creditrici, nella fattispecie l’inglese Royal Bank of Scotland e la francese Bpn, chiedessero di rientrare di una parte dei soldi prestati a Zaleski. Ed è qui che Intesa, Unicredit e le altre italiane sono corse in soccorso del finanziere liquidando le straniere ed evitando così di consegnare nelle loro mani importanti pacchetti azionari che avrebbero aperto il campo ad una possibile infiltrazione straniera nel circuito bancario italiano. Altrettanto importante, Zaleski possiede partecipazioni in società di grande rilievo sul palcoscenico di Piazza Affari e una corsa alla liquidazione di tali azioni avrebbe ripercussioni catastrofiche sugli indici borsistici italiani.
Tutte motivazioni chiare e ragionevoli. Ma come giustificare che nel 2008 le banche italiane abbiano concesso prestiti per un totale di 900 mld di cui 6,3, cioè quasi l’1%, ad un’unica persona?
Chi pagherà gli errori
In qualche punto del meccanismo qualcuno avrebbe dovuto chiedersi cosa sarebbe successo se costui avesse fallito, ma questo non è accaduto. E sullo sfondo di questa vicenda abbiamo ora delle banche a corto di liquidità, che stanno sostanzialmente chiudendo i rubinetti di credito alla maggior parte delle piccole e medie imprese, e che dipenderanno in modo vitale dagli interventi statali previsti dal decreto legge “salva-banche” varato dal Governo la scorsa settimana. Soldi pubblici che andranno a risanare situazioni dettate da scelte scellerate, di cui la vicenda Zaleski è forse l’emblema più rappresentativo. Ed eccoci all’ultimo corto circuito, nel quale le banche che ora (attraverso le istituzioni) chiedono aiuto ai contribuenti italiani, sono le stesse che ne strangolano una parte con mutui dai tassi criminali. Ciò nonostante, questo aiuto lo avranno, si rimetteranno in carreggiata e ricominceranno a fare il proprio lavoro. Fino all’arrivo del prossimo Zaleski.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Questa storia è solo l'ENNESIMA prova dello schifo che fanno le banche italiane, strozzini legalizzati che fanno la voce grossa con i poveracci e gli zerbini con i poteri forti. grazie laura per averci fatto capire qualcosa dei traffici di questi signori