lunedì 27 ottobre 2008

Gli studenti contro il decreto Gelmini: una protesta più forte delle strumentalizzazioni


di Stefano Giuseppe Magni

La protesta contro l’entrata in vigore della legge 133 del 6 agosto 2008, la cosiddetta riforma Gelmini, dilaga ormai a livello nazionale. Se agli inizi di settembre le figure professionali coinvolte nella mobilitazione sembravano “solo” quelle legate alla scuola elementare e media, oggi l’opposizione divampa con forza negli istituti superiori e nelle università: tutto il mondo della formazione nazionale è in fermento. In un’ Italia ferma e impaurita, questa scossa autunnale apre lo scontro politico e ideale su molti fronti, nonostante il movimento studentesco tutto sia in realtà ben concentrato su un solo obiettivo e decisissimo a raggiungerlo, come i propri colleghi francesi nel 2006: il ritiro della legge. Il bonapartismo di Berlusconi, restauratore dell’ordine e della disciplina, sente per la prima volta il fiato della gente sul collo, quel fiato che attraverso lo schermo televisvo non passa. E sembra preoccuparsi.

Di chi ha paura Berlusconi?
Il presidente del Consiglio prepara metodi in puro stile Genova 2001. Ma per attaccare chi? Prendiamo come esempio il caso della Sapienza. Mercoledì 22 ottobre c’è stata una partecipata assemblea fuori dalla facoltà di Lettere. Dopo un paio di domande alle persone e qualche intervento al microfono dei rappresentanti delle assemblee il quadro si è fatto un poco più chiaro.
Le anime del movimento si ritrovano sicuramente nei collettivi di sinistra (benché molto osteggiati dalle altre forze e tacciate di estremismo, rimangono i più numerosi e i più combattivi), dai gruppi liberali e democratici (legati all’universo PD, radicale o cattolico), dalle rappresentazioni sindacali e partitiche del mondo del lavoro universitario.
Ma il cuore grande e potente è la popolazione studentesca e lavoratrice non inquadrabile ma vivissima: lavoratori dei laboratori e amministrativi, studenti, dottorandi, ricercatori, professori, genitori e semplici passanti. La mobilitazione è trasversale e nelle assemblee, quotidiane e del tutto efficaci nei loro ordini del giorno (assai più che le agende di molti partiti politici), si dibattono e amplificano i temi della piattaforma di protesta: il no alla legge, ma accompagnato da molte proposte. Più finanziamenti pubblici alla formazione, meno spazio ai privati, università accessibile a tutti e soprattutto ai meno abbienti, stop al precariato. Piattaforma assai ricca dunque: come arrivare alla vittoria? Gli strumenti fino ad ora messi in atto alla Sapienza (dove la mobilitazione ha raggiunto anche due roccaforti, come ingegneria ed economia) sono: assemblee permanenti, produzione di documenti, manifestazioni cittadine, blocchi della didattica, occupazione di stabili. Tutto in vista della manifestazione nazionale del 14 novembre a Roma, che si preannuncia potentissima.

Le implicazioni politiche

Ma Roma è solo un pezzo, sebbene molto grande. Da Torino a Palermo, la mobilitazione è nazionale: tanto che oggi a Brescia anche Forza Nuova sembra abbia partecipato alle manifestazioni, indice della confusione organizzata rappresentata dal movimento. Aspettando la manifestazione nazionale e i prossimi sviluppi, possiamo proporre alcune considerazioni. I tentativi partitici di inquadrare il movimento nelle proprie mission politiche (si parte dai comunisti fino ad arrivare appunto alla destra xenofoba) sembrano distanti dalla base della protesta: dal Parlamento arrivano solo strumentalizzazioni e rifiuti. Al tempo stesso è proprio il qualunquismo italiano, che ha portato Berlusconi al governo, che rischia di mettere in scacco il movimento: il fattore violenza (parola che scompare quando a vibrare sono i manganelli dello Stato) gioca sempre dalla parte del più forte, in questo caso da quella del Governo. Inoltre c’è un dato poco considerato, ma assai chiaro se si ascoltano le diverse voci sull’argomento: l’ideologia leghista molto in voga e la diffusa sfiducia nei giovani, nell’Università e nella ricerca (covo di nepotismo, nullafacenti, fannulloni, assenteisti etc.), che fanno gioco solo alle grandi imprese private e ai partiti che ne sono voce politica, possono rendere insufficienti gli sforzi messi in campo. Ma ogni cronaca o analisi, di fronte al susseguirsi degli avvenimenti, è prematura. Il movimento intanto è determinato a vincere.

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