lunedì 1 settembre 2008

Vermi sul corpo dello Stato


di Simone Conte

Solo gli imbecilli o chi è in malafede possono insistere nel ricollegare ciò che è successo ieri al mondo del calcio. O forse no. Dipende da come si affronta il discorso. Perché se nonostante il mostruoso giro di soldi che lo alimenta, si continua a considerare il calcio come un gioco, che appassiona milioni di persone normali, con un senso civico nella media, e con la sola voglia di tifare la propria squadra, allora i fatti della stazione Termini con tutto questo non c’entrano nulla. Ma se invece si gratta appena un po’ la patina dorata e con un rudimento di sociologia si interpreta la domenica pallonara come la più grande valvola di sfogo sociale e al contempo di diversivo informativo mai concessa ad una popolazione, allora il cerchio si chiude.




Forse sussistono entrambe le verità. Perché, ed è già una sconfitta doverlo scrivere, la stragrande maggioranza delle persone che si interessano al calcio lo fanno in modo tutto sommato sano. Spesso si lasciano andare a ragionamenti irrazionali e infantili, idolatrando uomini la cui abilità si ricollega molto più al caso statistico che all’abnegazione, ma sebbene la loro passione sia discutibile, non è attaccabile sul piano del senso civico: l’idea della violenza non li sfiora nemmeno.
Si può dire che per loro il tifo sia il fine. C’è poi una seconda categoria, che del tifo fa il mezzo: una minoranza quantitativa che però ha la supremazia assoluta in termini qualitativi, perché riesce a prendere il sopravvento sulla parte sana della tifoseria. Accade così che ci si ritrova nella situazione attuale, nella quale porzioni più o meno estese delle curve di tutta Italia siano un contenitore di persone votate al teppismo, all’ideologia becera, alla devastazione fine a se stessa, con elementi che assurgono al ruolo di capopopolo in nome di un non meglio esplicato “onore”, e che contano sulla potenza d’urto del proprio gregge per ricattare i club prima, e le istituzioni poi.

Ma il discorso non finisce qui. Ascrivere la colpa esclusivamente alle curve avrebbe senso solo in uno stato privo di istituzioni. Se invece le istituzioni ci sono, allora la colpa è anche loro, perché da decenni mostrano una cronica incapacità di arginare il fenomeno, oppure, e questo è il dubbio che fa più male, è qualcosa di più sottile di uno stato di incapacità. Prendiamo il caso di ieri.

Roma-Napoli è da sempre considerata una delle partite più a rischio, per una serie di motivi che è inutile elencare in questa sede. Il verificarsi degli incidenti non era da annoverarsi tra gli avvenimenti “possibili” o “probabili”: era una certezza matematica. Eppure sia l’Osservatorio del Viminale che il Casms hanno ritenuto di operare “un’apertura di credito” nei confronti delle tifoserie italiane, ed hanno deciso di concedere la trasferta ai tifosi napoletani. Con risultati che catastrofici: c’è mancato solo il morto. Chi ha deciso di rendere possibile lo scempio, sapeva perfettamente cosa stava facendo nel momento in cui lo avallava. Ingenuamente ci si chiede “E allora perché lo ha permesso?”. I motivi sono diversi, e probabilmente alcuni sfuggono alla capacità di analisi di chi scrive, ma non tutti.

Il primo fattore è legato alla codardia, alla paura fottuta che la politica ha delle tifoserie organizzate. Da anni, per questa sottospecie di uomini, esiste una legge diversa, una sorta di “giurisdizione light”, che è come se dicesse “non potresti farlo” invece di “non puoi”. Con ovvie conseguenze. Prendere provvedimenti contro le tifoserie è impopolare, e vietare le trasferte è una di queste misure. Però vietare le trasferte è l’unica che cosa che puoi fare (tu Stato) quando per qualche incomprensibile (?) motivo non riesci a circoscrivere il problema a quelle mille persone che rappresentano effettivamente il problema, è l’unico modo che hai di non risolverlo, il problema. E visto che hai paura anche di fare quello, ma ti serve da subito perché qualche mese fa un pubblico ufficiale è scivolato col braccio teso e per puro caso ha ucciso un tifoso, allora ti serve da subito un motivo. Quando la macchina dei calendari della Lega Calcio ha partorito un Roma- Napoli (guarda il caso) alla prima giornata, qualcuno deve aver sorriso. Senza troppi giri di parole, quella di ieri è stata una trappola con tutti i crismi, pensata per avere da subito un motivo per vietare trasferte a raffica e in modo indiscriminato, potendo così continuare a rimandare l’individuazione dei veri colpevoli.

Ovviamente questo discorso non toglie un grammo dal carico mastodontico di colpe di cui si è macchiata quella che ieri si spacciava per tifoseria napoletana. Perché se è vero che è stata una trappola, è anche vero che le trappole si preparano per gli animali. E loro non sono degni nemmeno di essere chiamati animali; se in natura si assiste a momenti di ferocia pura, è sempre finalizzata a qualcosa, se una mandria travolge un paesaggio e lo devasta, è perché deve scappare o deve rincorrere per mangiare. Le sottospecie di uomini che ieri hanno preso in ostaggio un treno, due stazioni e altri pezzi di città non avrebbero asilo neanche all’interno di uno zoo. Rappresentano lo spreco della vita, la negazione dell’intelletto, e mi rifiuto anche di scrivere che siano il peggio che questa società possa partorire. Perché io di questa società faccio parte, e con quelle nullità barbare non ho nessun legame di parentela. Il loro habitat naturale non è la città ma il carcere. Duro, e per molti anni, il massimo sarebbe in cella assieme a chi gli permette di esprimere la menomazione psicologica sociale e culturale di cui sono portatori. Ci sono decine di foto e ore di filmati degli scontri di ieri, si potrebbero identificare molti di questi esseri insignificanti e cominciare a negargli lo stadio a vita, in attesa di un processo. Non accadrà, perché quello che è successo ieri, può accadere solo in assenza dello Stato, e uno Stato non si materializza nel giro di una notte.
Queste inservibili forme di vita senza palle, che hanno bisogno del branco per vomitare fuori tutta la rabbia derivante dal constatare l’assoluta futilità della propria esistenza, che giorno dopo giorno si scontrano con l’irrilevanza delle proprie azioni, con l’incapacità di essere persone, con l’umiliazione che hanno deliberatamente scelto di infliggersi gettando al vento la possibilità di una vita da uomini, questi vermi che strisciano sulla pelle rugosa del corpo di uno Stato in decomposizione non meritano rispetto, pietà e giustificazioni di nessun tipo. Si, come no, intanto gli unici cinque arrestati sono già stati rilasciati. Viva l’Italia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao Simone!
leggo sempre con piacere il vostro blog,ed è la prima volta che "oso" commentare un pezzo...non perchè mi vergogni,semplicemente per il fatto che per la prima volta la riflessione proposta è relativa ad un contesto che conosco da vicino,di cui so di poter parlare sapendo ciò che dico!
Si...sono un Calcio-Dipendente a tutti gli effetti,frequento lo stadio da molto tempo e sono anche uno di quelli che chiama le radio cittadine per commentare i fatti sportivi...Proprio questa mia ossessione mi ha portato a guardare al calcio da più punti di vista,mi ha portato a cercare di capire questo fenomeno.
Ti propongo un simpatico parallelismo tra la partita e la messa cattolica:due fenomeni caratterizzati da precisi luoghi e tempi,elementi cerimoniali,inni, canti e cori...due fenomeni dunque strutturalmente molto simili,entrambi creatori(nelle persone) di senso d'appartenenza ed "essere sociale",che secondo me differiscono per una semplice,ma fondamentale,caratteristica:il sovvertimento degli ordini e delle gerarchie sociali.Come tu hai fatto ben notare all'interno dello stadio essere un "capo",un "leader" è concesso a chi al di fuori di quella precisa realtà è esattamente il contrario.
Dove voglio arrivare...Se le condanne degli scontri e dei vandalismi da parte dello Stato fossero solo una facciata per nascondere il fatto che proprio gli scontri e i vandalismi sono l'effeto che si vuole dal calcio?Se la partita fosse un modo subdolamente approvato da parte dello Stato per concedere a cadenze regolari uno sfogo alle frustrazioni della vita quotidiana precaria,incerta e del tutto mediocre?
Sono pensieri che vengono fuori tra le 14 e le 15 della domenica pomeriggio,sugli spalti prima della partita,quindi non smontarmeli del tutto...ma dimmi cosa ne pensi...ci tengo!
Ciao..
Fabio.

Anonimo ha detto...

Non sono mai stato un tifoso, nella
mia vita sarò stato allo stadio una
volta o due, ma aquesto blog mi ha
risvegliato lontani ricordi, dai tem
pi della naia. Ricordo appunto delle
riflessioni fatte di fronte alle mani
festazioni di nonnismo, i più esagita
ti, appunto erano i più frustrati, co
me se in quelle vessazioni inflitte
alle reclute volessero trovare una
compensazione ai propri sentimenti
di inferiorità.