martedì 12 agosto 2008

L’Indio e l’ex Sovietico: un’altra storia di due pesi e due misure


di Gianni Galleri


Due avvenimenti geopolitici di grande rilievo stanno avvenendo nel mondo. Da una parte si stanno rinverdendo i fasti di una strisciante Guerra Fredda, Stati Uniti e Russia si fronteggiano e si minacciano diplomaticamente. Dall’altra un’opposizione impresentabile, bianca e razzista, sta cercando di destituire un presidente legittimamente eletto. Stiamo parlando ovviamente della Georgia e forse un po’ meno ovviamente della Bolivia. Certo perché questi avvenimenti apparentemente simili, vengono trattati in due modi completamente diversi dai media mainstream italiani. Sia dal punto di vista della quantità di copertura che della qualità di questa. Là dove il presidente Evo Morales ottiene il 65% dei consensi, incrementando già quella maggioranza vicina al 55% che possedeva, si parla di “vittoria a metà” (La Repubblica), come se, usando l’espressione di Gennaro Carotenuto, esperto di America Latina e docente a Macerata, si fosse discussa la vittoria di Berlusconi alle politiche di Aprile perché aveva perso in Toscana e Umbria. E così il distretto di Santacruz diventa di vitale importanza e non come nella realtà, un territorio amministrato da un governatore bianco razzista che impedisce con la forza al proprio Presidente di non visitare quella regione, che rappresenta solo una parte dell’intero stato boliviano.
Dall’altra parte del mondo quella secessione che per la Bolivia appare quanto meno giustificata (nonostante un plebiscito a favore di Morales), diventa una vergogna di politica internazionale. Se si parla di Georgia, nessuno ricorda che il governo Shevarnadze fu abbattuto con una rivoluzione colorata, in questo caso “delle rose”. Le rivoluzioni colorate furono quelle rivolte incruente che circa cinque anni fa spostarono il baricentro dell’influenza statunitense penetrando fin dentro le ex Repubbliche sovietiche, che erano rimaste fedeli a Mosca. A prezzo di milioni di dollari. Non sempre per altro riuscirono a sopravvivere e come in Ucraina sono tristemente fallite di fronte alla mancanza di numeri. Nonostante la martellante campagna mediatica.
E allora succede che, da una parte la Serbia deve tacere mentre gli strappano via il Kossovo, dall’altra la Georgia ha tutto il diritto di mettere a tacere i ribelli con un’iniziativa bellica. La risposta russa appare inevitabile, quanto meno prevedibile, “basta ingerenze in una zona da sempre sotto l’influenza di Mosca”. I fasti della Guerra Fredda si rispolverano ed è bello notare come a distanza di quasi vent’anni niente sia cambiato nel lavoro partigiano dei media italiani.

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