martedì 17 giugno 2008

Cercando la vera Palestina - Con intervista al regista Mohammed Alatar

di Gianni Galleri e Serena Rosticci

La Palestina è un argomento tabù per i grandi media. Quando se ne parla è "sempre troppo tardi": vittime, morti, attentati e raid. Difficilmente il problema viene affrontato contestualizzandolo in maniera più ampia. L'iniziativa Finding Palestine, realizzata dalle associazioni PalestinaWz, Aktivamente e Città dell'Altra Economia, è nata per dare voce a questa terra sempre più martoriata e sempre meno sotto i riflettori. L'ha fatto domenica 15 giugno nei locali dell'ex Mattatoio di Testaccio a Roma e l'ha fatto proponendo percorsi storici, fotografici (Luca Tommasini), ma soprattutto percorsi culturali. Danza (Basel Dasouky), musica (RadioDervish), quadri (Isis Rizk), istallazioni (Hazem Harb), moda (Jamal Taslaq) e la proiezione di un film: Jerusalem... the East side story.

Jeresulam... the East side story
Il film di Mohammed Alatar, già regista del documentario Iron Wall, ha il grande pregio di non essere manualistico e di non affrontare tutta la vicenda israelo-palestinese, ma di focalizzarsi su un punto ben preciso, la situazione della città di Gerusalemme: tutto ciò che la città rappresenta e tutte le difficoltà e i drammi che un arabo-palestinese incontra vivendo in una terra che gli Israeliani considerano solo loro. Il problema delle case mai restituite, il problema del ricongiungimento familiare e della sordità del governo israeliano a concedere permessi e documenti, così da creare situazioni grottesche, come quella in cui dei bambini gravemente ammalati sono costretti a fare dialisi da soli, perché ai genitori non è concesso di viaggiare a Gerusalemme Ovest dove si trovano gli unici ospedali attrezzati.

Le risposte del regista
Alla fine della proiezione del film, il regista Mohammad Alatar è rimasto con il pubblico rispondendo ad alcune domande.
Quali sono le difficoltà che ha incontrato girando questo film?
E' stato molto difficile. Per girare in Israele occorre avere il tesserino di giornalista israeliano, ma non esiste un palestinese che ce l'abbia. Paradossalmente posso scrivere in qualsiasi paese del mondo, ma non nel mio. Poi la polizia israeliana arrestava continuamente la nostra troupe tanto che dopo un po' ci presentavamo sul posto per riprendere con due troupes. Una stava lì per farsi arrestare, l'altra iniziava a girare quando portavano via la prima.
Se un problema non si vede, oggi non esiste. A questo proposito, che prospettive di distribuzione ha la pellicola?
Non avrà distribuzione commerciale, è molto improbabile vista la natura del documentario. Ci appoggeremo ai gruppi e alle associazioni filo-palestinesi. In Inghilterra ad esempio ci aiuta Amnesty International.
Metterlo in rete?
Come tutti sapete un film ha dei costi. Fra tre mesi sarà scaricabile, ma per adesso dobbiamo provare a rientrarci con le spese.
Che reazioni ha suscitato durante le proiezioni in Israele?
Il film non è ancora stato mostrato, ma a il 19 giugno sarà proiettato anche all'Università di Tel Aviv. Sinceramente spero che le reazioni siano buone.
Una soluzione per la vicenda di Gerusalemme?
Vi sembro il Messia? Da regista vorrei presentare il problema, farlo conoscere. Gerusalemme sta nel cuore di due popoli. E' come un bambino che subisce il divorzio dei genitori. Non si può dividere il bambino, bisogna condividerlo insieme anche se non ci si ama.

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