di Valeria Mencarelli
Dopo mesi di campagne aggressive e attacchi continui, le primarie democratiche americane hanno decretato un vincitore. Quasi vincitore, in realtà. All’appello, dopo i voti di martedì scorso di Kentucky e Oregon, mancano ancora tre stati. Ma i conti sono chiari: Obama sarà il nuovo candidato democratico alla Casa Bianca. Solo 70 delegati lo separano dalla certezza della nomination, e solo i voti dei superdelegati salverebbero Hillary Clinton. Ma un ribaltone da parte di quest’ultimi è impensabile, poiché si allontanerebbe troppo dal voto popolare. Obama si prende quindi i suoi meriti e dall’Iowa, lo stato che a gennaio dichiarò la sua prima grande vittoria, afferma che “il cambiamento sta arrivando in America”. Ancora con qualche cautela, soprattutto per non sminuire i voti dei tre stati mancanti. Ma le sue parole nascondono soltanto in parte le sue vere intenzioni: il senatore pensa già alla campagna presidenziale per le elezioni di novembre e le sue apparizioni televisive già mostrano il cambiamento di rotta. Invece del solito gruppo di giovani studenti in età universitaria, ora alle spalle del senatore compaiono spesso donne bianche tra i 40 e i 60 anni. Una strategia volta a vincere le resistenze della classe lavoratrice bianca, ma anche ispanica ed ebrea. Nel suo mirino, quindi, c’è prima di tutto la parte dell’elettorato che sostiene Hillary. Ma l’altro colpo nel fucile è rivolto al suo futuro avversario McCain, attaccato soprattutto sul tema della sicurezza nazionale e dell’appartenenza al partito dell’attuale presidente Bush. Hillary Clinton, nel frattempo, continua la sua corsa. La vittoria nel Kentucky le darà anche ragione, ma la sua sembra più testardaggine che convinzione. La sua speranza è quella in uno scandalo improvviso ai danni di Obama – nella sua esperienza politica, fa notare, gli scandali sono frequenti – ma soprattutto quella di far assorbire al senatore alcune delle sue posizioni politiche, come ad esempio l’assistenza sanitaria universale. Ma questa sembra essere davvero l’unica affermazione ragionevole della sua strategia.
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