venerdì 21 dicembre 2007

Thyssen Krupp, dal rogo alla fiaccolata: l'ipocrisia del cordoglio italiano.

di Stefano Magni e Simone Conte

Sferalab è un sito di cronaca e analisi dell'attualità. Tuttavia chi scrive ha delle opinioni, davanti alla morte di sei uomini e a tutto ciò che riguarda un evento così drammatico, era impossibile non esprimerle.

Fabbriche occupate, scioperi generali, autorganizzazioni, catene, spari: strumenti passati, antiquati, inutili. E’ ormai convinzione diffusa che la chiave sia la coesione sociale, che le classi siano una anticaglia sociologica della quale ridere assieme al capo che in fondo è una brava persona, anche quando risparmia sulle misure di sicurezza, anche quando dimentica di ricaricare gli estintori, anche quando non fa montare i ponteggi a norma. In fondo tifa la stessa squadra dell’operaio, in fondo anche lui tiene famiglia. Allora ecco che, di fronte all’ennesima strage sul lavoro consumatasi nel rogo alla ThyssenKrupp di Torino, Cgil, Cisl e Uil, con l’appoggio del Comune di Roma, organizzano una fiaccolata sotto il Colosseo, accompagnata da ben 2 ore di sciopero. Un bel regalo di Natale, una dimostrazione di modernità, dell’innovazione con la quale i sindacati e il nuovo Partito Democratico vogliono affrontare il problema del lavoro. Eccola la novità: il gesto apotropaico. Perchè se è vero che le manifestazioni, le adunate, i comizi sono uno strumento vecchio e da innovare, alla fiaccolata del 18 dicembre rimane solo la potenza della candela al cielo, cosa mai vista nelle lotte dei lavoratori in tutto il Novecento. Inizia a concretizzarsi il dubbio che il lemma “innovare”, nel lessico democratico non sia esattamente quello che ci si aspettava.

Il bavaglio gentile
C’è un’ambigua consonanza tra iniziative mediatiche, le fiaccolate e i richiami dei politici: nessuna servirà anche solo ad un lavoratore. E’ una verità accecante che però nessuno sembra vedere, un’esplosione di ipocrisia politica e mediatica che nessuno sa o vuole ascoltare: improvvisamente sono tutti ciechi e sordi. Repubblica continua a ritagliarsi il ruolo di cane da guardia del potere pubblicando intercettazioni (ma il gruppo l’Espresso ha le chiavi dei tribunali o trova direttamente i nastri la mattina sotto lo zerbino?), e scoop sugli sprechi, ma quando si tratterebbe di dire le cose come stanno sulle morti bianche non trova forme più opportune di una raccolta di firme digitali, per loro stessa natura innovative, evanescenti, inutili. I media nazionali sembrano non avere l’indipendenza per affrontare la questione razionalmente: i decessi sul lavoro risultano una notizia tra le tante, inserita tra un omicidio e un pezzo sulle vacanze degli italiani all’estero. E' quell'autocensura a priori che nessuno può denunciare, è una corda con il nodo molle ma che comunque impedisce i movimenti, è un bavaglio gentile che fa passare poche parole: quelle giuste.

Le parti in causa
I sindacati sono davvero lo strumento vecchio, rimasti così indietro da non accorgersi di penalizzare il lavoratore. O forse ne sono pienamente consapevoli, ma questa è la massima lunghezza del guinzaglio tenuto in mano da Confindustria. La politica invece continua a promettere interventi, svolte, programmi, senza naturalmente riuscire a fare nulla. La sua incapacità strutturale nel regolamentare il rapporto tra lavoro e capitale anche in maniera riformista, assume in Italia una prospettiva ancora più inquietante, a causa della profonda mescolanza tra capitale produttivo ed edilizio con le organizzazioni mafiose e di riciclaggio. Il capitalismo italiano, nella sua globalità, è incapace di mantenere una politica securitaria del lavoro adeguata agli enormi profitti a cui è solito, ma nessuno sembra intenzionato a fare un passo indietro in questo senso. Per risolvere tutto questo servono svolte radicali impresse nero su bianco, serve che un Governo imponga alle imprese di guadagnare meno per garantire la sicurezza, e che la stampa appoggi responsabilmente iniziative impopolari. Questo serve, non parole, o fiaccolate.

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