di Simone Conte
Dopo giorni di attesa contraddistinti da rumours, ipotesi e congetture di varia natura, si è finalmente tenuto l’incontro tra Walter Veltroni e Silvio Berlusconi. I leader delle due nuove formazioni principali della politica italiana hanno dato luogo a quello che nel suo piccolo assume i tratti dell’evento: un faccia a faccia privato sulla riforma della legge elettorale, tema che agita tutti gli schieramenti dell’emiciclo, nessuno escluso. Ciò che sorprende non è semplicemente il confronto fra due avversari, in diversi paesi europei è una prassi consolidata, non di rado un viatico indispensabile per legiferare su temi fondanti per la buona salute di uno stato. Ma come spesso accade in politica, in Italia il panorama è differente.
Forma e contenuto
Il mutamento di prospettive è dato dal fatto che l’incontro tra i due sia giunto dopo anni di demonizzazioni reciproche, tese su un versante ad evidenziare le disavventure processuali di Berlusconi e le conseguenti leggi ad personam, e dall’altro a sottolineare la mancanza di una vera discontinuità dalla radice comunista. Per questo, prima ancora che nel contenuto, la notizia è nel contenitore, nella forma. La novità è la cortesia, il potersi scambiare delle opinioni senza che nessuna delle due parti gridi al complotto, all’istituzione di un regime. Nel caso del meeting tra Veltroni e Berlusconi l’eccezionale risiede nel normale, o perlomeno in ciò che dovrebbe esserlo, la politica della collaborazione. Uno spirito nuovo giunto talmente all’improvviso da aver scatenato una ridda di veleni e sospetti mirati a contrastare l’ipotesi dell’inciucio, di un’intesa di convenienza che porterebbe l’Italia indietro di anni. Per questo nelle rispettive conferenze stampa successive alla tavola rotonda, i due hanno tentato di stroncare sul nascere queste ipotesi rivendicando e riaffermando con forza la propria identità, un atto comunicativo indispensabile che però lascia sul chi va là i rispettivi alleati.
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