venerdì 13 giugno 2008

Nucleare, Russia ed energia: i nuovi scenari

di Dario Abballe


Nabucco, Dolphin, IPI, trattati Ue – Russia; progetti che sembrano lontani anni luce da noi, estranei alle nostre vite. Niente di più falso. Al fine di prendere coscienza di cosa siano, e perché così vicine a noi tutti, Sferalab si è rivolto a Marco Giuli, esperto del CEPS sulla sicurezza energetica globale e regionale e sulle politiche energetiche internazionali.

L’Italia ha da poco deciso di tornare al nucleare: quali sono i possibili rischi derivanti da questa scelta? E la stessa condizionerà l’utilizzo dei biocombustibili in Italia?
Non vedo alcuna contrapposizione fra nucleare e biocarburanti. Non c’è alcun dibattito di questo genere. I biocombustibili nascono come sostituti del petrolio nel settore dove esso è più difficile da sostituire, ossia i trasporti. In tale settore il nucleare non trova nessuna applicazione.
Detto ciò, personalmente credo che i biocarburanti – anche se occorre distinguere fra i diversi tipi – siano stati ispirati non tanto da considerazioni ambientaliste quanto politiche. L’Amministrazione Bush li ha fortemente sostenuti col doppio obiettivo di ridurre la dipendenza globale dal petrolio del Medio Oriente, dipendenza che riduce le opzioni di politica estera degli USA, e di separare i destini energetici del Brasile dal petrolio venezuelano. In qualche misura lo sviluppo del bioetanolo è fra le cause della crescita dei prezzi dei generi alimentari, anche se per il momento non la più importante. In una prospettiva dinamica, tuttavia, non ho molta fiducia in una strategia che metta in competizione cibo e carburante, perché il mercato si orienterà verso l’utilizzo finale più profittevole e non abbiamo strumenti di governance globale per contenere questi fenomeni.
Per quanto riguarda il nucleare in Italia, credo che abbiamo fatto un errore ad abbandonarlo nel 1987 sulla scorta di considerazioni principalmente emotive. Disporre di energia nucleare aumenta la sicurezza energetica e accresce la competitività della produzione. Vedo però tre problemi difficilmente superabili. Il primo riguarda i tempi: 5 anni sono un termine semplicemente ridicolo. Avviando i lavori oggi, ci troveremo con centrali di terza generazione quando queste saranno (e già sono) obsolete. Il secondo problema riguarda lo smaltimento delle scorie. Si noti che non riusciamo a stoccare nemmeno le scorie radioattive prodotte dagli ospedali. E’ ovvio che tale problema va risolto prima di avviare gli investimenti. Il terzo problema riguarda gli investimenti. Se io fossi Areva o Siemens mi guarderei bene da investire in Italia col rischio che alle prossime elezioni si torni indietro sulla decisione di tornare al nucleare.

Il progetto Nabucco nasce come valvola di sfogo dalla dipendenza energetica dalla Russia; ma qual è la sua reale fattibilità?
Il Nabucco rientra in una generale strategia di sviluppo di rotte multiple dall’area caspica che riducano la posizione dominante della Russia nel mercato di riferimento. La Commissione è fortemente impegnata a sostenere il progetto anche se vi sono forti dubbi sulla sicurezza dell’offerta. In questi termini, considerando che il Turkmenistan difficilmente potrà partecipare visti i contratti di lungo periodo stabiliti con Russia e Cina, rimane il solo gas azero su cui tuttavia la Russia mantiene una leva potente. In una fase iniziale il giacimento azero di Shah Deniz potrà fornire 10 bcm/y estendibili a 20 negli anni successivi. Ben pochi per giustificare un gasdotto da 31 bcm/y, inoltre se la Russia tagliasse le esportazioni di gas all’Azerbaijan lo costringerebbe ad utilizzare Shah Deniz per sterilizzare la domanda domestica. L’unico gas in grado di giustificare il Nabucco sembra essere in questo caso quello iraniano, la cui partecipazione porrebbe tuttavia sotto forte stress le relazioni transatlantiche. In questo senso, la posizione degli USA, che sostengono decisamente il Nabucco, è incredibilmente contraddittoria. Il più grande paradosso risiede poi nella possibilità che, una volta realizzata l’infrastruttura, per rientrare dell’investimento potremmo costretti a farci passare proprio il gas russo da cui si cercava di ridurre la dipendenza.

Giugno rappresenta lo step iniziale dei trattati Ue-Russia: quali orizzonti apriranno?


I negoziati che saranno avviati al summit di Chantyj-Mansijsk riguardano un’ampia serie di questioni. Non sono sicuro che cercare di elaborare nuovi trattati sull’energia sia una strategia sensata alla luce del fallimento della Carta Energetica. Per quanto riguarda le relazioni energetiche con la Russia, la UE deve rendersi conto che per quanto accresca la diversificazione – cosa di per sé auspicabile – la sua dipendenza dal gas russo, che non è al momento così impressionante (24-26%) non potrà che crescere. Non vedo un pericolo di leva geopolitica come ritengono i nuovi membri dell’Europa Orientale, poiché l’Europa rappresenta l’unico mercato profittevole per Gazprom, le cui entrate servono più a coprire un mercato domestico inefficiente e sussidiato che a sostenere una politica estera aggressiva. La UE dovrebbe fare del suo meglio per aiutare la Russia a rendere più efficiente tale mercato. Solo così sarà possibile depoliticizzare una questione che continua ad esasperare i rapporti fra le due parti e i rapporti interni alla UE. In secondo luogo, i russi non capiscono che cosa vogliamo da loro: più, meno o lo stesso gas? A volte ho l’impressione che a Bruxelles nessuno lo sappia.

N.B. Le opinioni espresse dall'intervistato sono del tutto personali e in alcun modo possono essere ascritte al CEPS

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