martedì 27 maggio 2008

Un pomeriggio al Pigneto



di Simone Conte e Gianni Galleri
Ieri a Roma faceva caldo, tanto. Il solstizio d’estate sarebbe quasi tra un mese, ma forse quello che è successo, nella città che ha la resistenza e l’antifascismo nel suo dna, necessitava l’inizio di una nuova stagione. E allora eccola l’estate al Pigneto, per un pomeriggio (ancor più del solito) provincia asiatica e africana incastonata tra Casilina e Prenestina, dove una manifestazione rumorosa e colorata è sfilata per portare solidarietà agli immigrati del quartiere, vittime sabato pomeriggio di un'aggressione di stampo fascista. Perché di questo si è trattato, e quando parli con Islam Serajoul, il ragazzo titolare del call center assalito, lo capisci benissimo. Ha ancora paura, ti fa vedere i vetri rotti, le cabine rovinate, indica il suo amico con i segni in faccia che rimane qualche metro lontano da quella porta, e ti dice che gridavano “Ve ne dovete andare”. Lo guardi negli occhi e capisci che non serve controllare se quel branco di imbecilli avesse la tessera di Forza Nuova per definire o meno la matrice politica di questo episodio.


Il corteo è partito proprio da lì, dalla piazza che unisce le due vie protagoniste delle violenze. Hanno manifestato assieme cittadini romani, bengalesi, etiopi e molti altri gruppi etnici, che ormai da anni colorano la Capitale italiana, mentre tanti ancora assistevano divertiti dalle finestre. Accanto agli striscioni, che indicavano l'integrazione come unica via, c'erano i centri sociali, le bandiere rosse di Rifondazione, della Fiom, del Partito Comunista dei Lavoratori e quelle colorate dei Pacifisti e dell'Arci. Difficile fare una stima delle presenze ma il serpentone si snodava per diverse centinaia di metri, anche se secondo stime della prefettura non erano più di tre-quattro metri.

Così tanta gente in una sola piazza è merce rara in questo periodo di disimpegno politico e quindi, con diverse gradazioni, tutte le cariche politiche hanno colto al volo l'occasione. Ma non solo, c'è anche chi ha detto verità scomode e senza nascondersi dietro nessun abito o ruolo istituzionale. Don Sardelli si presenta ai microfoni senza tonaca, senza niente che lasci presagire che sia un prete. “Io non so se quei ragazzi fossero fascisti, ma se vedo una persona uccisa e incaprettata dico che è un omicidio di mafioso, se vedo chi, con spranghe e a volto coperto, fa irruzione in un negozio, urlando 'immigrati fuori di qui', dico, senza nessun dubbio, che si tratta di un vile atto fascista”.

Già proprio la parola “fascista”, che tanta paura ha fatto al Governatore Marrazzo, che non è riuscito mai a pronunciarla usando parafrasi di ogni tipo. Propone un tavolo fra istituzioni ed immigrati, che, se lo lascia scappare un paio di volte, rappresentano un problema. Non è dello stesso avviso il portavoce degli immigrati, persona di cultura, proprietà di linguaggio e senso critico da far impallidire molti nostri politici. “Nel nostro quartiere, la polizia deve vigilare e stroncare la malavita, ma non si deve mai permettere di criminalizzare gli immigrati in quanto tali”, poi prosegue “in questa fase storica di crisi per l'Italia, c'è chi soffia sul fuoco del disagio per scaricare sugli immigrati tutte le colpe, scordandosi che le nostre badanti, i nostri giardinieri e tanti altri lavoratori, mandano avanti il suo Paese”. La discussione la conclude Andrea Alzetta detto Tarzan, consigliere comunale di Rifondazione, che provocando tutti, urla che la soluzione è il voto agli immigrati per le elezioni municipali. Molti spunti, molte idee, che al di là del politicare si propongono finalmente di dire no alla Roma fascista.

Forse alla radice di questa storia c’è davvero un portafoglio rubato, o forse il ragazzo cercato dalla squadraccia aveva combinato qualcos’altro, ma questa non può, non deve assolutamente essere una giustificazione. Non si può stabilire un nesso tra causa ed effetto, come ha sciaguratamente tentato di fare una parte dell’informazione. Non si può dire “Lo volevano ammazzare ma lui aveva rubato un portafoglio” oppure “Hanno buttato le molotov sul campo nomadi ma uno di loro aveva provato a rapire un bambino”. La storia lontana ci insegna che trovare una giustificazione ad un atto ingiustificabile è l’inizio di qualcosa di pericoloso, quella più recente e tutta italiana ci dice che più si pompa sangue nelle vene dell’allarme sicurezza più le persone con la pelle più scura della nostra devono preoccuparsi della loro, di sicurezza.

Manifestazione pigneto

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