di Michela Truncellito
24 Marzo 2008, uno studio senza pubblico apre la puntata di “Niente di personale” di Antonello Piroso, uno studio vuoto che va riempiendosi nel corso delle 3 ore di trasmissione dai familiari delle vittime dell’illegalità. Una schiera di nomi, foto, parole con le quali i parenti, ognuno col proprio modo, decide di raccontare il proprio lutto, il proprio amato. Intervengono anche diversi attori recitando le parole di chi resta, o di coloro di cui una resta solo una vita esemplare. Viene letto l’appello di Giovanni Impastato rivolto ai figli di Bernardo Provenzano: “[…]Dimostrate a vostro padre, con i fatti, che c'è un altro modo di vivere, diverso da quello incondivisibile suo, l'unico che ha avuto la sventura di conoscere, sarà un modo per amarlo ancora di più.” Al termine della puntata Don Luigi Ciotti in studio parla di “Libera” e del suo impegno a promuovere una società non civile, ma impegnata, matura, consapevole. La parola legalità dovrà venire utilizzata poi, quando ci sarà un sentire ed un sapere comuni, quando ci saranno delle buone fondamenta.
Uno stato nello Stato
La cinematografia italiana, e non solo, è piena di film che raccontano di mafia, tratti da storie vere, ma anche commedie in cui la mafia fa da sfondo, ma (in proporzione) è quasi assente dai telegiornali dagli approfondimenti, diventando qualcosa che non tocca la nostra quotidianità. I dati esposti ieri a NdP, rilevati dalla Direzione Generale Antimafia mostrano, però, quanto reale e capillare sia la questione in Italia: 90 miliardi di euro di fatturato annuo, 1.800.000 impiegati dalla mafia. A Bari il 15 Marzo 2008 c’è stata la XIII giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, l’elenco dei nomi conosciuti delle persone colpite è troppo lungo per essere citato in questa sede, già questo fa riflettere.
Quando le parole non bastano
Nel dizionario wikipediano la definizione di mafia è organizzazione di potere, che si appoggia a funzionari dello Stato e a certi strati della popolazione. Ma è difficile rendere con le parole cosa accadde a Borsellino e a Falcone nel 1992, o ad un ragazzo pieno di passione come Peppino Impastato, sarebbe difficile spiegare ancora quante persone sono state ammazzate perché si trovavano nel posto e al momento sbagliato, e quanti solo perché avevano deciso di vivere seguendo un’etica giusta. Una riflessione nasce dalle parole di Giuseppe Fava, che nell’applicarle trovò la sua condanna."Io ho un concetto etico di giornalismo. Un giornalismo fatto di verità, impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo si fa carico di vite umane". In quest’ottica non può essere dedicato un minuto di silenzio per ogni persona uccisa dall’illegalità, ma serve un’unione di voci. Norberto Bobbio diceva: “la democrazia vive di buone leggi e di buoni costumi”.
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